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Casa accoglienza "San Giuseppe - Antonio Branca"

La struttura, gestita direttamente da IRST, offre ospitalità a tariffe calmierate per pazienti, familiari e personale a pochi passi dal centro oncologico. Un luogo pensato per garantire serenità durante il percorso di cura.

Sentirsi a casa, anche durante le cure oncologiche

La Casa Accoglienza “San Giuseppe – Antonio Branca” è parte integrante del percorso di cura all’IRST “Dino Amadori” IRCCS: un luogo accogliente, a pochi passi dall’Istituto, pensato per ospitare pazienti oncologici, familiari, accompagnatori e personale sanitario e di ricarca, a tariffe accessibili.

Distante poche centinaia di metri da IRST, la Casa Accoglienza dispone, su tre piani, di 26 camere (singole, doppie, triple per un totale massimo di 41 ospiti) progettate e arredate per assicurare i migliori standard e comfort, oltre a spazi comuni (reception, area uffici, cucina comune, sala pranzo, soggiorno, sala lettura), parcheggi e giardino. L’immobile, in fase di ristrutturazione, è stato sottoposto, oltre ad un'importante valorizzazione estetica, anche a numerose migliorie impiantistiche, introducendo tecnologie che hanno permesso il raggiungimento della classe energetica A.

Storia dell'Istituzione "San Giuseppe" e della Casa Accoglienza

L’Istituto San Giuseppe di Meldola fu fondato nel 1930 da Mons. Achille Lega, per provvedere al ricovero, mantenimento, educazione morale e religiosa dei ragazzi orfani o figli di famiglie povere.

Alla conduzione del complesso che poteva ospitare fino ad 80 giovani, furono inizialmente chiamate le suore dell’Ordine dell’Addolorata. Il primo edificio del complesso, realizzato grazie afondi propri e munifiche donazioni private su disegno dell’Ing. Gino Cervesi di Forlì, fu destinato aricovero femminile e inaugurato il 28 ottobre 1930 dal vescovo Mons. Raimondo Jaffei. La nuova costruzione sorgeva a fianco di un preesistente edificio, già adibito a filanda, attrezzato a laboratorio tessile così da poter insegnare un mestiere alle ospiti e per dare una rendita all’Istituto medesimo. Presso l’Istituto, infatti, venivano preparate tiare, abiti talari e paramenti sacri per il Vaticano e la Curia forlivese.

Dopo cinque anni, Mons. Lega ritenne fondamentale estendere anche ai bambini disesso maschile l’opera dell’Istituto, chiedendo al capo del Governo, Benito Mussolini e alla Famiglia Reale un finanziamento per costruire un nuovo edificio. Ottenuto un finanziamento di 450.000 liredell’epoca, nel 1936, venne realizzato un secondo, moderno, fabbricato più grande del precedente. Inaugurato da Donna Rachele Mussolini, nel nuovo edificio trovò spazio anche un laboratorio di falegnameria per i ragazzi.

Nel 1952, con l’apertura di una Scuola materna intitolata a Mons. Lega e la soppressione dell’Orfanotrofio, l’educazione dell’infanzia diventò l’attività principale. Una connotazione che dura tutt’oggi insieme al coordinamento di alcune associazioni di volontariato, tra le quali la Caritas Meldolese.

A cavallo tra anni ’90 e primo decennio del duemila, il progressivo disuso di molti locali portò ad una seria riflessione sul futuro di parte dell’Istituto e sulla sua messain sicurezza. Tra i primi ad interessarsi al problema, nel 2011, fu Antonio Branca, all’epoca segretario della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, scomparso prematuramente nel 2014, che, insieme alle Direzioni IRST, elaborò un progetto diriqualificazione per rispondere alle esigenze di alloggio temporaneo di pazienti e loro familiari, specie per quelli provenienti da fuori Regione. Il progetto è stato presentato e approvato nel giugno 2012 da InvestiRE SGR, primario operatore del risparmio gestito specializzato e punto di riferimento per il mercato degli investitori istituzionali e operatori professionali, in qualità di gestore del Fondo immobiliare etico Emilia-Romagna Social Housing; l’avvio formale dei lavori è del febbraio 2015.

Il 16 maggio 2016 è inaugurata la nuova Casa accoglienza che prende il nome della precedente istituzione e di chi, per primo, si adoperò per la sua realizzazione: San Giuseppe - Antonio Branca.

Dal 2016 al 2023 la gestione della Casa è stata affidata, tramite convenzione, all’Istituzione “Davide Drudi” di Meldola. Dal 2024 la struttura è gestita direttamente da IRST “Dino Amadori” IRCCS.

Nella ricerca di un simbolo che potesse rappresentare efficacemente i valori propri dell’accoglienza e del territorio meldolese, la scelta è caduta su giglio rosso, inscritto nel profilo di una casa. Oltre ad esser classicamente associato nell’iconografia cristiana alla figura di San Giuseppe, sono numerosi i riferimenti che fanno spiccare l’immagine del giglio quale abbinamento ideale. Un fiore, in sé, è già simbolo che esprime semplicità, tranquillità, equilibrio e naturalezza; elementi rafforzati dall’abbinamento al rosso/arancio, un colore tipicamente caldo, positivo, luminoso, emotivamente coinvolgente. Forse ancor più significativi gli aspetti storico-naturalistici. In primis, il giglio rosso è simbolo presente nello stemma comunale di Meldola (è tenuto nella zampa destra dal leone che campeggia al centro dello scudo), a ricordo dell’aiuto offerto dai fiorentini a difesa della città dall’assedio degli Ordelaffi. Infine, il Lilium bulbiferum è tra le specie vegetali più rappresentative e rare della Riserva naturale regionale di Scardavilla, alle porte di Meldola. Scardavilla – uno dei più ampi e interessanti boschi delle colline forlivesi – è nota anche per esser stato oggetto di ampio studio del naturalista forlivese Pietro Zangheri (1889-1983), eminente scienziato e padre dell’ecologismo italiano.

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